Matteo vaffanculo e muorici in quella casa!
La mano porta il cellulare in tasca.
Lei continua a camminare.
Il suo passo è ritmato, conosce la direzione.
È preciso e non cambia velocità, quando lei inizia a urlare.
Ora una di quelle stupide suonerie spinge da quella tasca.
Sarà passato un minuto o poco meno.
Una musichetta banale, anonima, in dotazione in qualsiasi telefono, assolutamente impersonale.
Una volta, tutto il giro.
Fine.
Ancora una volta, tutto il giro.
Fine.
Un’altra volta ancora, tutta.
Fine.
Lei continua a camminare nel suo cappottino a 3/4 blu e non infila la mano in tasca, per riiniziare da quell’insulto.
Che ansia deve esserci dall’altra parte, penso io.
Lui con quel telefono in mano, respira profondamente, è agitato o vuole semplicemente dire la sua.
Del resto se ci devo morire quantomeno fatemi dire l’ultimo pensiero.
É in quella casa, paonazzo, ha cercato di alzare la voce fino a un momento prima. È scocciato, questa volta è sfuggito tutto di mano e ritornare ad avere ragione è complicato. Ma ora mi deve lasciar parlare.
Lei continua a camminare, dritta nei suoi mocassini, di quelli che trovi a buon mercato, in qualsiasi negozietto di quartiere, ma che son tanto comodi.
Un calzino bianco appena appena a coprire la caviglia e a scoprire quanto basta un po’ di pelle, prima del bordo dei pantaloni grigi.
Una parte di una divisa da lavoro, una divisa di un turno di domenica finito per l’ora di pranzo, che ti lascia solo i capelli spettinani e raccolti male, senza attenzione.
In una domenica di sole. Dopo settimane di pioggia oggi c’è il sole, ma lei stringe solo la mano su quella tasca.
Nell’altra mano ha un fazzoletto bianco, che ora porta al suo volto.
Riparte la musichetta da carillon di plastica e questa volta il giro è a metà.
Risponde.
Nessun ciao, aspetta la prima frase dall’altra parte e poi ricomincia.
Non alza il tono, ma tende la voce verso un urlo di spiegazioni.
No, non è Matteo.
Io non voglio stare con una persona di merda
L’urlo arriva.
Arrivano le lacrime, ma il passo non si ferma.
Un signore in tenuta sportiva, di quella ultra tecnica, probabilmente costosissima, ora la sorpassa. A lui non interessa che
io così non ce la faccio più
Lei è solo un ostacolo al suo ritmo. Non la sente. Ah gli auricolari fanno miracoli.
L’ha ormai superata di una decina di passi e lei, con quel fazzoletto bianco, inizia a gesticolare.
Io fisso le sue caviglie e quegli anonimi mocassini.
La sorpasso, lentamente, per guardare un volto con due occhi che non vedono la strada e il regalo di una domenica di sole in una città piuttosto grigia.