– TUTTO QUELLO CHE NEL LIBRO NON C’È –

La scuola è uno dei luoghi principali dove ha inizio la storia di Lia e l’Abete Rosso.
Nelle prossime righe svelo un po’ di questo edificio, che sembra far solo da scenografia. La struttura è imponente, alle porte del paese e composta da più edifici, fra i quali spicca quello centrale, che vanta sulla sua sommità anche una torretta.
Intonaco bianco, una ben visibile scritta blu, posizionata al centro, sopra al grande portone, recita: ISTITUTO BODONI. É l’ingresso principale.
Questa scuola è un punto di riferimento per la città e i suoi corridoi hanno visto generazioni e generazioni di ogni abitante.
Arrivi qui all’età di sei anni e, dopo aver imparato a leggere, scrivere e contare procedi fino all’ultimo anno di scuola obbligatoria.
All’epoca di Lia le classi si incontravano tutte insieme solo durante le riunioni in Aula Magna, durante le gare sportive, difficilmente classi di età diverse si mescolavano tra loro. Ognuno ha la sua classe, ognuno gioca e parla con i propri amici. Non vi è nessun tipo di conflitto, non è per qualche rivalità o qualche motivo in particolare. Fin dal primo giorno del primo anno di scuola li hanno abituati a rimanere divisi così e nessuno ha mai sentito l’esigenza di cambiare quell’equilibrio.
È abitudine.
Ma da quando sono arrivati quelli che vengono da là, quella routine si trasforma.
È Eleonora, la nonna di Lia, a raccontare a lei e Tommaso la storia di quel luogo.
All’origine l’Istituto era un collegio femminile. Era allestito non solo con aule di studio, ma anche con le camerate delle studentesse. Vi era poi una grande cucina, il refettorio, la lavanderia e una serie di spazi, che permettevano di condurre tutte le attività quotidiane dedicate alle ragazze, iscritte lì dalle famiglie. Non era un orfanotrofio o un luogo dove le fanciulle, già dalla tenera età, venissero abbandonate nella speranza che qualcuno si prendesse cura di loro.
Studiare lì era una conquista di prestigio: oltre a materie classiche si apprendevano, ad esempio, anche l’economia domestica, il galateo. Si diventava signorine per bene e, una volta completata la formazione, si era pronte a esser ambite da un marito, un buon partito.
Nel periodo della Grande Guerra, la cittadina, come tutta la zona intorno, subì devastanti bombardamenti e venne attaccata via cielo e via terra.
Un giorno i militari arrivarono fino al Collegio e studentesse, insegnanti, governanti e tutti quelli che vivevano lì scapparono via di gran corsa, lasciando ogni cosa lì dov’era.
Non presero con loro nulla, pensarono solo a scappare verso la pineta e le montagne, nella speranza di potersi salvare dall’attacco nemico.
La nonna raccontava di quando aveva l’età di Lia o poco più e il Collegio era lì a guardarli, abbandonato e vuoto. La scuola si trovava, all’epoca, in uno stato di fatiscenza: dal tetto vi erano infiltrazioni di acqua, le scale erano mal ridotte, tutto rischiava di crollare al suolo, da un momento all’altro. Vi erano stati sì interventi di manutenzione, per una generale messa in sicurezza, ma al buio, avvolti da rumori sconosciuti, immersi nel silenzio, salire di piano in piano era un’avventura per pochi.
La scuola era così diventata meta di esplorazioni e prove di coraggio. Quel Vecchio Collegio, narrava la nonna, era infatti il luogo dalle mille avventure dove ti portavano quelli grandi per vedere se fossi diventato davvero grande come loro.
Qui si svolgeva l’eroica prova di ammissione al gruppo.
L’essere chiamati a partecipare a quella sfida significava già di per sé avere la possibilità di far parte degli “eletti”.
La regia voleva che la temuta impresa iniziasse sempre al crepuscolo, quando la luce ancora rischiara, ma tende a dirigersi al giorno successivo. Si dovevano salire più piani possibile e, chi avrebbe affrontato la decadenza, per arrivare fino all’ultimo piano, avrebbe dimostrato di poter avere titolo per essere membro del gruppo.
La donna svelava come, spostando la rete di recinzione, si entrasse nel giardino, ormai abbandonato. Da quello che allora doveva essere il magazzino, riuscivano poi ad entrare all’interno. Già dal primo ingresso si imbattevano in vecchi registri ammucchiati per terra, in pile abbandonate di codici con le regole di vitto e alloggio e ogni genere di corrispondenza, che riguardasse l’attività didattica. Sedie e tavoli rovesciati e, ovunque, un intenso odore di muffa ad avvolgere ogni stanza.
Pareti scrostate, finestroni senza alcuni vetri, sporcizia, calcinacci e tutto era come ovattato da una nebbiolina di polvere.
L’aria, passo dopo passo, diveniva pesante, si entrava in uno spazio proibito, dimenticato nella storia. Un posto dove era successo qualcosa di misterioso, dove avevi l’impressione che ci fosse ancora in giro qualcuno, nascosto dietro a qualche angolo ad osservarti, forse più impaurito di te.
Riuscire a muovere un passo e poi un altro ancora e un altro…senza ascoltare la paura, dimenticandosi le raccomandazioni degli adulti.
Quello sì che voleva dire esser diventati davvero grandi.
Ogni piano aveva delle sale dove era ancora visibile il momento della fuga di chi, quel posto, lo vide al massimo splendore. Ad esempio, in quella che doveva essere la lavanderia, vi erano delle assi da stiro, sopra le quali vi era ancora appoggiato un pesantissimo ferro su quello che, ormai, era un logoro pezzo di stoffa.
I lunghi corridoi delle camerate si presentavano con letti disfatti, con ammassi di materassi accatastati in qualche angolo, mentre altri letti erano lì come se, chi su di loro passava le proprie notti, si fosse da poco alzata.
Ogni passo era uno scricchiolio, era fiato sospeso e prova di audacia.
La nonna di Lia era, ovviamente, arrivata fino all’ultimo piano possibile, perché poi la scala di accesso era del tutto crollata e la strada si era resa impraticabile.
A prova di quello che aveva appena confidato, mostrò loro un trofeo, che aveva conquistato durante la sua prima avventura nella Vecchia Scuola Abbandonata, quella della prova di ammissione.
Questo tesoro, conservato per così lungo tempo, è un piccolo libricino. Non ha più di cinque o sei pagine.
Intriso di un odore antico, ha una copertina ricca di macchie di quella che deve esser ruggine, unita ai segni del tempo trascorso su quelle pagine.
Il titolo:
Norme – per il disimpegno del servizio delle Maestre Assistenti
Il carattere delle lettere è simile a quello di una macchina da scrivere, con un lieve accenno di modernità.
Quando la nonna lo porge a Lia e Tommaso entrambi rimangono incantati.
Tommaso lo tiene tra le mani e Lia lo apre prudentemente.
Sollevano la copertina, come se si possa dissolvere tra le loro dita. Come se il solo muovere quella pagina possa far volare via tutto quello che racchiude.
La nonna prosegue e spiega loro che lo ha trovato in quello che doveva esser l’ufficio della Preside. Era una stanza molto grande e all’ultimo piano. Vi era una credenza aperta e ribaltata da un lato e da uno dei cassetti che, in quella posizione, rimaneva forzatamente aperto, eran scivolati sul pavimento un mucchietto di quei libricini. Ne aveva subito afferrato uno e lo aveva infilato in tasca, per poi leggerlo con attenzione, una volta tornata a vie accessibili e sicure.
Non lo ha perso mai e, anche se non ha chissà quale valore, per lei è la sua infanzia e i momenti di spensieratezza che hanno a lungo caratterizzato le sue giornate.
Si leggeva così di come le Assistenti, al mattino, dovessero controllare che le bambine
Avessero i capelli ravviati e raccolti
Gli indumenti devon esser piegati e ben accomodati nei comodini
Faranno in modo che le ore di ricreazione siano liete e serene – recita di poesie, commediole già imparate e cureranno il canto che è un mezzo efficacissimo per l’educazione.
E via via una serie di regole inerenti l’abbigliamento, i momenti di svago, cosa fare, cosa leggere, cosa non dire, per le assistenti e per le studentesse.
La nonna spiegò che la città, in seguito, decise di non lasciare abbandonato quel grosso complesso, ma di ridonargli la sua natura originaria. Si cercarono fondi, si fecero addirittura raccolte e donazioni in tutti i comuni vicini. Ci vollero molti anni, l’impegno di tutti, ma finalmente la scuola tornò a splendere. Tuttavia si decise che la sua rinascita doveva esser per tutti, una scuola pubblica e mista.
Inizialmente venne divisa in due ale, i tempi erano comunque quelli: vi era quindi la parte maschile e poi quella femminile. Due ingressi, due cortili, due di tutto, l’importante era che quei due gruppi rimanessero sempre ben separati, senza incrociarsi mai.
Oggi, invece, la divisione permane solo fra piccoli e grandi.
Fino al giorno dell’accoglienza.